Proteste in Thailandia del 2020-2021
Manifestazioni per la democrazia e altre disobbedienze civili in Thailandia / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Le proteste del 2020-2021 in Thailandia sono state soprattutto una serie di grandi manifestazioni popolari contro il governo filo-militare e filo-monarchico di Prayut Chan-o-cha e contro la Costituzione del 2017 stilata dai militari, che garantì il controllo del Paese ai militari stessi. Iniziarono per un breve periodo nel febbraio 2020, ripresero a partire dal 18 luglio successivo fino a fine anno e, dopo una sosta dovuta alle misure prese per fronteggiare la pandemia di COVID-19 ricominciarono nel febbraio 2021. I dimostranti, in gran parte giovani e studenti che non avevano un vero leader,[6] invocarono tra le altre cose la riforma della monarchia nazionale, richiesta che non aveva precedenti nella storia della Thailandia. Le proteste furono espresse anche su internet e i social network ebbero un ruolo importante nella loro diffusione e nell'organizzazione delle dimostrazioni.
Proteste in Thailandia del 2020-2021 parte del conflitto tra la classe dominante thailandese monarchico-militarista e le opposizioni democratiche | |||
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Dimostranti a Bangkok il 18 luglio | |||
Data | 1ª fase: febbraio 2020 2ª fase: luglio-dicembre 2020 3ª fase: febbraio-aprile 2021 4ª e ultima fase: giugno-novembre 2021' | ||
Luogo | Thailandia e alcune città all'estero | ||
Causa |
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Esito | Soppressione delle proteste da parte delle forze dell'ordine e della magistratura, sensibilizzazione del popolo thailandese sui problemi della democrazia nel Paese[3][4] | ||
Schieramenti | |||
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Richieste dei dimostranti Dimissioni del governo, scioglimento delle camere e nuove elezioni Fine della repressione governativa Nuova costituzione Abolizione della prerogativa dei militari nella nomina dei senatori Limitazione delle prerogative del re | |||
Voci di sommosse presenti su Wikipedia | |||
Ebbero inizio verso fine febbraio per protestare contro la dissoluzione del Partito del Futuro Nuovo (PFN), che aveva riscosso grande successo soprattutto tra i giovani ed era stato protagonista alle elezioni del 2019; in particolare il PFN era stato molto critico verso Prayut e verso la Costituzione del 2017.[6] La prima ondata di proteste ebbe luogo esclusivamente nelle università e si concluse con i provvedimenti restrittivi presi dal governo a fine mese per fronteggiare la pandemia di COVID-19. Ripresero il 18 luglio con una grande dimostrazione al Monumento alla Democrazia di Bangkok organizzata dal gruppo Gioventù libera e le richieste principali furono lo scioglimento del Parlamento, la fine delle intimidazioni delle forze dell'ordine e una nuova costituzione. Tra le altre richieste che emersero dal movimento in quel periodo vi furono quelle per i diritti delle donne, del movimento LGBT e dei lavoratori, per la riforma dell'Istruzione pubblica, delle forze armate, del sistema giudiziario, e del sistema economico dominato da una ristretta cerchia di capitalisti, ecc.[7][8][9] Anche queste proteste ebbero fine con nuovi provvedimenti presi contro la pandemia.
Il 3 agosto due gruppi studenteschi raccolsero pubblicamente firme per la riforma della monarchia, rompendo un secolare tabù del Paese, dove le critiche in pubblico alla monarchia sono punite severamente. Una settimana dopo destarono scalpore le 10 richieste per la riforma della monarchia presentate dal movimento studentesco. Alla manifestazione del 19 settembre presero parte tra i 20 000 e i 100 000 dimostranti e fu descritta come un'aperta sfida a re Vajiralongkorn. Vista l'imponente adesione alle proteste, il governo promise emendamenti alla Costituzione ma a fine mese il rinvio in Parlamento del voto per gli emendamenti alimentò il sentimento repubblicano tra la popolazione come mai era successo prima.[10][11] Le grandi dimostrazioni del 14 ottobre portarono il governo a promulgare per Bangkok un severo stato di emergenza, sostenendo che una dimostrazione aveva bloccato un corteo reale. Il provvedimento estese ulteriormente i poteri delle autorità che già erano aumentati con il decreto di emergenza di marzo relativo alla pandemia. Nonostante i divieti, le proteste continuarono e il 16 ottobre la polizia le disperse usando cannoni ad acqua. Il decreto di emergenza della settimana prima fu revocato il 22 ottobre.[12]
Prayut convocò quindi la sessione speciale del Parlamento il 26 ottobre al termine della quale annunciò che non si sarebbe dimesso e che avrebbe presentato al Parlamento un progetto di legge per un referendum sugli emendamenti alla contestata Costituzione del 2017.[13][14] In novembre vi fu una nuova seduta straordinaria del Parlamento per valutare eventuali modifiche alla Costituzione, migliaia di dimostranti si radunarono nei pressi del palazzo e vi furono violenti scontri sia con le forze dell'ordine che con gruppi di monarchici filo-governativi. I disordini causarono per la prima volta dall'inizio delle proteste il ferimento di decine di persone. Il Parlamento votò in favore di due proposte di modifica che non prevedevano emendamenti agli articoli relativi alle riforme di monarchia e Senato richieste dalle opposizioni.[15]
Il governo fin dall'inizio rispose alle proteste con l'incriminazione e la detenzione di diversi manifestanti (per aver violato il Decreto di emergenza), con le intimidazioni della polizia, l'impiego di unità speciali antiterrorismo dell'esercito, la censura dei media, la mobilitazione di gruppi filo-governativi e monarchici, e soprattutto schierando migliaia di poliziotti alle manifestazioni. Le decisioni da prendere in risposta alle richieste dei dimostranti furono rinviate, sostenendo che avessero il supporto di governi stranieri e organizzazioni non governative impegnate in una cospirazione globale contro la Thailandia. L'esecutivo diede inoltre ordine agli organi direttivi di scuole e università di vietare agli studenti di chiedere riforme della monarchia e di identificare i leader delle proteste. Durante le proteste di ottobre, dopo il rientro del re da uno dei suoi abituali soggiorni in Germania, furono impiegati l'esercito e la polizia anti-sommossa che eseguirono arresti di massa.[16]
Nel novembre 2020 furono inviati mandati di comparizione a diversi leader del movimento con l'accusa di lesa maestà, utilizzando per la prima volta dopo due anni la severa legge nº 112 del codice penale che punisce il reato con pene fino a 15 anni di reclusione per ogni singola offesa. Nel febbraio 2021 vi fu il primo pronunciamento di un tribunale di Bangkok che negò la scarcerazione dei leader del movimento accusati di lesa maestà. Con buona parte dei leader incarcerati e con le preoccupanti ondate di nuovi contagi di COVID-19 nel Paese verificatesi verso fine 2020 e nell'aprile 2021, le manifestazioni di piazza persero intensità e le proteste proseguirono soprattutto attraverso internet, in particolar modo sui social network.[17][18][19][20]
Dopo nuove proteste di piazza tenutesi a partire dal luglio 2021, il successivo 10 novembre la Corte costituzionale stabilì che le 10 richieste per la riforma della monarchia presentate il 10 agosto 2020 avevano come obiettivo la destabilizzazione dello Stato e il rovesciamento della monarchia, definendole un abuso dei diritti e delle libertà e un danneggiamento per la sicurezza dello Stato. La sentenza fu definita un "colpo di Stato giudiziale" che avrebbe potuto favorire il ritorno alla monarchia assoluta e innescare nuove accuse contro i dimostranti tra cui quella di tradimento, reato per il quale è prevista la pena di morte. Fu pronunciata quando erano almeno 156 gli attivisti incriminati per aver infranto la legge di lesa maestà dall'inizio delle proteste.[21][22][23] In quel periodo le proteste persero definitivamente l'intensità dei due anni precedenti a causa della repressione delle forze dell'ordine e delle condanne inflitte dai tribunali ai leader del movimento.[3][4]
Molti dei dimostranti sarebbero in seguito entrati nel Partito Kao Klai – nel quale erano confluiti i membri del disciolto Partito del Futuro Nuovo – furono attivi nella campagna per le elezioni del maggio 2023 e alcuni si presentarono come candidati a deputato.[3][24][25] Kao Klai trionfò ottenendo 151 deputati e fu il primo partito alle elezioni, che videro il fronte democratico assicurarsi più di 300 dei 500 seggi alla Camera e rappresentarono il ripudio da parte del popolo thailandese di 9 anni di dittatura militare e dei partiti associati ai militari.[26][27]