Rachel Auerbach
scrittrice, giornalista e storica polacca di origini ebraiche / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
Rachel Auerbach (in ebraico רחל אוירבך?, scritto anche Rokhl Oyerbakh[1]; Lanivci, 18 dicembre 1903 – Tel Aviv, 31 maggio 1976) è stata una scrittrice, giornalista e storica polacca di origini ebraiche, sopravvissuta al ghetto di Varsavia, studiosa dell'Olocausto.
Figura centrale nella letteratura ebraica della Polonia tra le due guerre,[2] alla fine degli anni venti del Novecento contribuì a fondare il movimento letterario yiddish in Galizia, di cui il giornale Tsushtayer fu un'espressione; negli anni trenta si distinse a Varsavia per la sua produzione di articoli e saggi nella stampa in yiddish e polacco.[3]
Durante l'occupazione tedesca della Polonia fece parte del gruppo clandestino Oneg Shabbat (trad. lett.: Gioia del sabato), fondato dallo storico Emanuel Ringelblum, promotore di uno dei più importanti progetti di documentazione della vita quotidiana degli ebrei nel ghetto di Varsavia sotto l'occupazione nazista;[4] lo sostenne in questa attività e diresse una mensa per i poveri, raccontando in diversi saggi le sue esperienze dalla "prima linea della fame", la quotidianità ebraica e quanto aveva assistito e raccolto come testimonianze durante il rastrellamento e la deportazione della popolazione dal ghetto.[5]
Definita una dei "pionieri della storia dell'Olocausto", tra la fine degli anni quaranta e l'inizio degli anni sessanta[6], unico membro rimasto in vita del gruppo Oneg Shabbat, si dedicò alla raccolta e alla pubblicazione delle testimonianze degli ebrei sopravvissuti; promosse la ricerca dell'archivio dell'organizzazione, in seguito denominato archivio Ringelblum, che era stato sepolto all'interno del ghetto.[7]
In Israele dal 1954 al 1968 diresse il Dipartimento per la Raccolta delle Testimonianze allo Yad Vashem (Memoriale dei Martiri e degli Eroi dell'Olocausto).[8]
Il suo lavoro fu determinante nella preparazione della documentazione per il processo al criminale di guerra nazista Adolf Eichmann;[9] la sua concezione del ruolo attivo attribuito alle testimonianze contribuì a plasmare un nuovo paradigma di processo per atrocità incentrato sulle vittime.[10]