Olocausto in Bulgaria
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L'Olocausto in Bulgaria si riferisce alla persecuzione degli ebrei avvenuta nel periodo 1941-1944 nell'allora Regno di Bulgaria e nelle attuali regioni della Jugoslavia e della Grecia, occupate durante la seconda guerra mondiale, organizzata dal governo dello zar Boris III e del primo ministro Bogdan Filov, allineato al nazismo.[1]
La persecuzione iniziò nel 1941 con l'approvazione della legislazione antiebraica e culminò nel marzo 1943 con l'arresto e la deportazione di 11.343 ebrei[2] dalle regioni occupate nella Grecia settentrionale, nella Macedonia jugoslava e nel distretto di Pirot: furono deportati dalle autorità bulgare e inviati nei campi di sterminio nella Polonia occupata dai tedeschi.
Successivamente fu avviata la deportazione dei 48.000 ebrei bulgari, seppur interrotta in seguito alle manifestazioni di protesta. Dopo essere venuti a conoscenza dei piani imminenti, i membri del parlamento guidati da Dimitar Peshev fecero pressioni sul Ministro degli Interni affinché revocasse l'ordine di espulsione, mentre le proteste pubbliche e gli interventi di personalità di spicco, in particolare dei vescovi della Chiesa ortodossa bulgara Stefan di Sofia e Kiril di Plovdiv, convinsero lo zar prima a fermare temporaneamente la deportazione nel marzo 1943, e due mesi dopo a rinviarla.[3][4][5] Dopo la momentanea sospensione, gli ebrei furono deportati internamente nelle campagne, inclusi tutti i 25.743 ebrei di Sofia,[6][7] e furono confiscati i loro beni;[8][9][10] i maschi di età compresa tra 20 e 46 anni furono arruolati nel Corpo dei lavoratori fino al settembre 1944.[9][10][11][12] Gli eventi che impedirono la deportazione nei campi di sterminio di circa 48.000[13] ebrei nella primavera del 1943 vengono riconosciuti come il "salvataggio degli ebrei bulgari": per questo motivo, il tasso di sopravvivenza della popolazione ebraica in Bulgaria fu uno dei maggiori registrati in Europa.