Utente:Giacomo-gu/SandboxXX
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L'inizio del XX secolo vide il mercato della caffeicoltura schiacciato dal gigante brasiliano, che controllò dal 73[1] all'80% dell'intera produzione mondiale tra il 1900 e il 1909[2]; apprese inoltre in questo periodo anche l'abilità di pilotare i prezzi utilizzando appositi "piani di conservazione" rispettivamente nel 1906, 1917 e 1921. Tutto ciò fu accresciuto dalla massiccia distruzione della foresta amazzonica.
Nel 1914 metà della fornitura mondiale passò ancora attraverso Amburgo e Le Havre le quali mantennero forti legami col Brasile, ma gli statunitensi scoprirono le nuove degustazioni provenienti dall'America Centrale. Nel giugno del 1915 un giornalista di ritorno dal Guatemala si preoccupò del fatto che "l'impero tedesco ha sempre importato almeno i 2/3 del caffè del centroamerica"; questo prima del ruolo che verrà ad assumere la California[3].
Ma la situazione corrente si venne a modificare in special modo solo dopo il "Martedì nero" di Wall Street nel 1929, che indusse il valore delle "bacche verdi" a precipitare.
Come diretta conseguenza tra il 1927 e il 1960 la produzione brasiliana e la sua rispettiva quota di mercato si ridusse globalmente, mentre si conobbe l'emersione dei nuovi e vecchi maggiori produttori africani, centroamericani e messicani. Perù e Venezuela, ancora tra le prime 5 posizioni nel 1927, scompariranno quasi completamente nel corso del resto del secolo.
Anni | 1900-1904 | 1925-1929 | 1940 | 1950 | 1953 | 1960 | 1970 | 1982-1984 | 1990 | 2002 |
Offerta mondiale (in tonnellate) | 1,02 milioni[1] | 1,8 milioni[4] | 2,1 milioni | 2,1 milioni[5] | 2,05 milioni[6] | 2,6 milioni[6] | 3,8 milioni[7] | 5,4 milioni[8] | 6 milioni[7] | 8,5 milioni[7] |
Brasile e Colombia continuarono a dominare il mercato mondiale fino al 1929, secondo le statistiche del 1927 le quali mostrano anche la progressiva marginalizzazione della caffeicoltura nell'impero coloniale francese; là ov'era stata introdotta nei secoli precedenti. Le raccolte della Nuova Caledonia (810 tonnellate), di Guadalupa (593 tonnellate), dell'Indocina francese (398 tonnellate), dell'Africa Occidentale Francese (nell'odierna Costa d'Avorio, 187 tonnellate) risultarono essere assai modeste[9].
Nel periodo 1925-1929 l'America Latina, esclusi il Brasile e la Colombia, rimasero la seconda area di produzione mondiale con 260.000[4] tonnellate di caffè annuale, il 90% in più rispetto alla singola Colombia e 4 volte superiore al totale asiatico. Ma il Venezuela e l'America Centrale subiranno più di altri la crisi che seguì innescando al contempo forti contrazioni e gravi disordini sociali.
Dopo il 1929 il Brasile bruciò le scorte con l'intento di rilanciare la corsa; apparve il caffè solubile. Le ambiziose politiche coloniali permisero invece lo sviluppo della caffeicoltura tra i contadini indigeni la quale ebbe un successo più che discreto in Madagascar; mentre fu più lieve nel Congo belga il quale beneficiò comunque della migliore Coffea arabica importata agli inizi del secolo dai coloni tedeschi.
In Madagascar il sostegno dato ai contadini creò un vasto malcontento tra i coloni e i commercianti europei, ma la produzione si moltiplicò di 6 volte, il che ispirerà l'amministrazione coloniale francese in Costa d'Avorio, dove la raccolta sarà aumentato di 20 volte tra il 1945 e il 1962 attraverso una massiccia deforestazione all'interno di un contesto di prezzi mondiali più alti.
Negli anni cinquanta la prima ondata di disboscamento permise alle colonie africane, ma anche al Centroamerica, di aumentare notevolmente la loro produzione di caffè, mentre la coltivazione globale non aumentò per 5 anni[6]; questo moto si amplificherà durante il decennio seguente in Costa d'Avorio, Madagascar e nell'Angola ancora sotto dominazione portoghese.
I due maggiori produttori, Brasile e Colombia, videro i raccolti stagnare o diminuire leggermente nel corso degli anni cinquanta e la loro quota di fornitura globale si ridurrà nuovamente negli anni sessanta, quando invece la produzione mondiale aumentò del 46%; il ritmo ineguale continuò, tanto più che l'effetto del "grande freddo" brasiliano nel 1975 fece ancora sentire i suoi effetti fino al 1980[10]. Ciò modificherà l'intera struttura delle piantagioni del paese.
Il relativo successo delle politiche adottate nel mercato azionario brasiliano portò alla creazione nel 1962 di un accordo internazionale che permise a produttori e consumatori di pianificare una soluzione commerciale stabile a lungo termine; essa venne però rimessa in discussione nel 1989 dimezzando la produzione nazionale e triplicando i prezzi mondiali.
La seconda metà del secolo ha visto l'ampliamento del campo di offerta a causa della comparsa di diversi altri importanti produttori, in particolar modo la crescita della Colombia, l'entrata nel mercato della Costa d'Avorio, dell'Etiopia e, più di recente, anche del Vietnam; quest'ultimo ha superato la stessa Colombia diventando così il 2° produttore mondiale nel 1999 e raggiungendo una quota di mercato pari al 15% entro il 2011[11].
Negli ultimi trent'anni del secolo la produzione mondiale è più che raddoppiata. L'ultimo decennio ha visto la rinascita di grandi operatori commerciali in un mercato liberalizzato e diversificato che la permesso la risalita delle quote di Vietnam e Indonesia coltivate a Coffea canephora.